Attualità

A Milano la piece ‘Love me tender’ sulla dipendenza sessuale

L’autore e attore Shi Yang Shi, raccontarsi l’inizio della cura

 Parla della dipendenza sessuale, di quel disperato bisogno d’amore che diventa un tunnel di dolore, ma anche della possibilità di condividerlo, raccontarlo, per farne qualcosa di buono, per imparare ad amarsi e amare con tenerezza: ha debuttato al teatro dell’Elfo di Milano, nel mese del Pride, lo spettacolo ‘Love me tender’ di Renata Ciaravino e Shi Yang Shi, che ne è anche interprete insieme a Marco Ottolini.


    Questa piece affilata come una lama, chirurgica nel mettere a nudo i meccanismi del demone della dipendenza, anche grazie alla regia di Marcela Serli e ai costumi di Angelo ‘Yezael’ Cruciani, racconta la storia di Marco Hu, un ragazzo sinoitaliano cresciuto praticamente da solo, al decimo piano di un appartamento in condivisione di una casa popolare alla periferia milanese, in eterna attesa del ritorno della madre dal lavoro.

Diventato grande, Marco non riesce ad amarsi e ha un disperato bisogno di colmare un amore mai ricevuto. Cerca di riempire questo vuoto con il sesso, tra incontri a pagamento e dark room, ma il pozzo del suo dolore diventa ancora più profondo, finché capisce che deve chiedere aiuto e scopre di non essere solo. La piece infatti è nata in piena pandemia, da interviste a ex pazienti della Società Italiana Intervento Patologie Compulsive di Bolzano, dove vengono curate varie forme di dipendenza, dal gioco allo shopping, tenendo presente che ogni dipendenza è una dipendenza affettiva, un bisogno d’amore inespresso.
    “Raccontarsi è l’inizio della cura” sottolinea Shi Yang Shi, spiegando che “lo è per Marco Hu e lo è per ognuno di noi che cerca disperatamente amore incondizionato nella vita, soprattutto se non lo abbiamo ricevuto a sufficienza”.
    “Io non so – aggiunge Renata Ciaravino – se il teatro curi, non credo. Ma quello che so è che il nostro compito dovrebbe essere quello di mostrare per primi le nostre ferite e dare allo spettatore, magari non la cura, ma sicuramente la possibilità di sentire che non è da solo a sentirsi così abietto, indegno, non amabile”.

Fonte:(ANSA)

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