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Buoni pasto, i bar di Milano dicono basta ai ticket in pausa pranzo: «Commissioni troppo alte»

Milano, protestano gli esercenti: «Le società dei ticket chiedono percentuali sempre più alte, sconti ai lavoratori che non li usano». In alcune zone della città i buoni pasto rappresentano il 70% del fatturato di bar e ristoranti

Non ci sono più le pause pranzo di una volta. La pandemia ha lasciato in smart working ancora molti dipendenti. Gente che l’insalatona mista ormai se la fa in pantofole sul divano invece che nel bar sotto l’ufficio. Ma soprattutto sono tanti quelli che si portano via come eredità dell’era Covid il risparmio della schiscetta. Ma gli ultimi mesi raccontano anche una ritrovata primavera del commercio milanese. Quella fine dello stato d’emergenza che tradotto sulla Milano da bere e da mangiare significa ristoranti pieni senza nessuna restrizione nel menu. La città così rivede la luce e apparecchia i tavoli verso l’estate del rilancio necessario. Premesso questo, c’è un ostacolo con cui sono tornati a convivere gli esercenti. Lo dicevano sottovoce da tempo, ma ora che la crisi li manda avanti in modalità sopravvivenza la buca dei buoni pasti rischia di generare un’ulteriore frenata di settore. «Un meccanismo perverso — attacca Bruno Marsico, proprietario di Globe, storico ristorante arrampicato sui tetti di piazza Cinque Giornate —. Le società che emettono ticket ci chiedono percentuali sempre più alte. Io ho deciso di non cedere al ricatto e offro uno sconto del 7 per cento a chi non li usa. Possono tenerli per fare la spesa, ma così non conviene a nessuno».

Lo sconto alle aziende
La storia insegna che il mercato dei buoni pasto ha creato una concorrenza in entrata che porta le società a offrire sconti alle aziende in cambio di trattenute sempre più importanti all’esercente che accetta il pagamento con il ticket. «Così si perde il valore d’acquisto che finisce per danneggiare più di tutti il consumatore — spiega Carlo Squeri, direttore di Epam Milano —. Fino a una decina di anni fa lo sconto alle aziende non era esagerato ora si aggira tra il 10 e il 20 per cento. Davanti a questo storni il ristoratore o il barista è come avessero un socio occulto che gli mangia fino a un quinto del potenziale incasso. E ha solo due alternative. O alza il prezzo o abbassa il livello. Un danno economico per il ristoratore e uno di qualità per il cliente. Una sconfitta per tutti».

Il fatturato dei buoni pasto
Numeri alla mano, pochi, visti i tempi di crisi, possono permettersi di non accettare i buoni pasto, che in alcune zone della città trainano il fatturato di circa il 70 per cento. Per certi versi, il tema è antico, ma come successo su altri fronti, è stato dimenticato negli ultimi due anni perché c’era altro di cui parlare. E le ferite aperte erano altrove. Sulla «perdita» dell’esercente non c’è solo la percentuale trattenuta sul buono: c’è un canone per il pos e un costo per ogni singola transazione. E a meno di sacrificare un’altra dose di percentuali, anche gli incassi sono ritardati, dai 30 giorni in su, che in questo momento in cui molti locali hanno i bilanci in passivo, non aiuta. Con le marginalità ridotte da costi dell’energia e in generale delle materie prime.

Il fronte del commercio
Per questo nel settore monta la richiesta di unità. Di compattarsi, in assenza di una legge che fissa tetti e paletti come in Francia, per evitare che la gara al ribasso saccheggi ulteriormente i bilanci. «Per evitare di perderci devo offrire un piatto che valga quello che è il reale incasso che prendo da chi paga col ticket — aggiunge Giuseppe Gissi, che a Milano gestisce le Tre Marie in viale Piave oltre a locali in zone legate a filo diretto a pause pranzo —. È un meccanismo che subiamo in modo irreversibile: ci sono società come Pellegrini che chiedono solo il 7%, ma altre, come Sodexo o EdenRed che tra costi fissi e variabili prendono più del doppio. E il trend è quello. Nel nostro settore in questo momento tutti, dal governo in giù, stanno cercando di dare una mano perché il sistema riparta. Sarebbe il momento anche per le società che emettono buoni pasto di dare un segnale».

Fonte: Corriredellasera

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