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Renato Vallanzasca è “una larva umana, fatelo morire in pace”

L’appelo della ex moglie del “bel Renè”

“Quanto deve pagare ancora? Dopo 50 anni di carcere e una condizione di salute precaria, anzi peggio. Rifiutare le misure alternative a Renato Vallanzasca significa non solo condannarlo al carcere a vita, cosa che già è avvenuta e all’impossibilità di vivere uno stralcio di normalità, ma anche umiliare un uomo ormai ridotto all’ombra non di quello che era, ma di quello che tutti hanno pensato che fosse”. Parole di Antonella D’Agostino, l’ex moglie del “bel Renè”, che in una lettera affidata all’Ansa ha chiesto un po’ di umana pietà per l’ex compagno, a cui nelle scorse settimana è stata negata la detenzione domiciliare in un luogo di cura. 

“Ha vissuto otto anni in semilibertà e poi ai domiciliari senza fare niente di male. E quando portò via quelle mutande dal supermercato capii che nel suo cervello qualcosa aveva cominciato a non funzionare”, prosegue la D’Agostino, riferendosi all’ultimo arresto di Vallanzasca, fermato proprio per aver rubato degli slip in un negozio. “Da fuori ho sofferto ogni volta che ho visto quelle sue smargiassate che lo hanno reso il ‘bel Renè’ soprannome che ha sempre odiato ma siccome faceva figo se lo è tenuto”, continua la donna.

“Mi chiamo Antonella D’Agostino e sono stata sua moglie, un amore fraterno più che un incontro folgorante tra un uomo e una donna. Ci siamo conosciuti che lui era un bambino. Io anche. Uno ‘scugnizzo’ di via del Giambellino, strada di Milano che, negli anni delle bombe, del terrorismo e della droga era conosciuta come malfamata e violenta. Sua madre che lui ha sempre difeso, come è giusto che sia, non lo guardava, lui spavaldo diceva che andava tutto bene ma noi nel quartiere sapevamo che non era vero ed erano più le volte che mangiava qua e la che a casa sua”, il ricordo dell’ex moglie di Vallanzasca.

“Ho passato anni a portare pacchi a lui e ai suoi compagni di cella a raccogliere lettere d’amore che gli arrivavano da tutta Italia da donne, famose e sconosciute, da artisti e uomini di legge, e chi più ne ha più ne metta, finché non l’ho sposato e sono riuscita a tirarlo fuori di lì. Era già un uomo finito. Bravo? Mai detto questo. Non voglio santificare chi ha vissuto da criminale. I veri criminali li ho conosciuti, quelli che frequentavano la Milano da bere – scrive ancora Antonella D’Agostino -. Niente a che vedere con lui. Altra stoffa. Loro sono morti ammazzati o ricchi sfondati. Lui marcisce in galera senza avere i soldi per le sigarette, senza capire più dov’è”.

“Dunque, vi chiedo: quanto deve pagare ancora Renato Vallanzasca perché possa morire in pace – è la conclusione -. E sia chiaro non da uomo libero, ma affidato a una struttura. Ormai lo avete piegato per sempre. Dimentichiamo gli occhi azzurri e il suo fascino. È l’ombra di sé stesso. Una larva umana. Che forse merita un po’ di pietà. A meno che 50 anni di carcere vi sembrino pochi”.

Info: Milanotoday

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